… tra diritti e responsabilità
Non abbiamo avuto modo di scegliere i genitori che ci siamo trovati, ma abbiamo modo di poter scegliere quali genitori potremo essere
Cosa significa avere un figlio? Ma è la stessa cosa dell’essere genitori?
Ci sono in numero crescente coppie che non vogliono figli.
Soli, senza l’aiuto della famiglia allargata, i membri della coppia fanno fatica ad affrontare quel lavoro psichico complesso che comporta il “mestiere del genitore”.
Il desiderio di un bambino ancor prima della sua nascita è un evento complesso.
Possiamo immaginare tre bambini:
- il bambino della mente;
- il bambino del cuore;
- il bambino reale.
Il bambino della mente è l’equivalente del bambino fantasmatico descritto da Lebovici, un bambino cioè figlio dei fantasmi inconsci dei genitori.
Il bambino del cuore coinvolge il progetto affettivo dei genitori e delle loro famiglie di origine.
Il bambino reale con la sua nascita e la sua presenza concreta rimette in discussione i primi due e ne comporta il ridimensionamento e la disillusione.
Il processo per diventare genitori comporta un doppio lutto:
- una rinuncia a vedere il bambino solo in se stessi perché c’è un bambino reale nuovo nato;
- il ridimensionamento del bambino fantasticato e immaginario, il bambino della mente e del cuore, a favore del bambino reale, non ideale e perfetto, ma presente.
Qualsiasi bambino rappresenta una parte del sé del genitore, una parte del partner, ma anche un oggetto nuovo, altro da sé che per questa sua quota estranea diventa straniero e perciò perturbante.
Per certi versi potremmo dire che avere un figlio ci libera dai nostri genitori e avere un figlio ci matura, perfezionando quell’identità personale e di genere che da sempre abbiamo cominciato a costruire.
Avere un figlio poi cimenta e modifica l’essere coppia coniugale perché inserisce la coppia nella continuità generazionale, riequilibra la coppia quando è troppo centrata narcisisticamente su se stessa.
La nascita di un bambino altera le abitudini, i ritmi, gli orari, fa “perdere” il tempo privato; cambia la rappresentazione del partner e le esperienze di intimità.
Il “parenting” si riferisce al processo di allevamento e di crescita di un figlio a partire dalla sua nascita fino all’età adulta.
Ha come obiettivo lo sviluppo fisico, intellettuale ed emotivo del bambino e questo processo è fortemente influenzato dalle caratteristiche dei genitori e della famiglia che si costituisce con l’arrivo del bambino stesso.
La nascita di un figlio determina numerosi cambiamenti non solo nel singolo genitore, ma anche all’interno delle dinamiche di coppia: i genitori devono effettuare il passaggio da “relazione a due” a “relazione a tre”, accettando di ricostruire, anche a livello pratico, la quotidianità, ora caratterizzata primariamente dalla comprensione e soddisfazione delle necessità infantili.
Il parenting
Il parenting comprende diverse funzioni:
- Funzione protettiva: consiste nell’offrire cure adeguate ai bisogni del bambino, protezione e sicurezza. Le modalità attraverso le quali le figure di riferimento assolvono a tali compiti subiscono l’influenza della cultura della comunità sociale di cui la famiglia fa parte e la funzione protettiva è quella che più di ogni altra determina il legame d’attaccamento.
- Funzione regolativa: la regolazione va intesa come la capacità del bambino (presente dalla nascita) di regolare i propri stati emotivi, l’esperienza e le risposte comportamentali adeguate che ne conseguono.
- Funzione normativa: conseguente all’evolversi della funzione regolativa, va intesa come la capacità genitoriale di dare una struttura comportamentale coerente di riferimento che consenta al bambino di soddisfare la necessità di avere dei limiti.
- Funzione predittiva: consiste nella capacità genitoriale di prevedere il raggiungimento della tappa evolutiva imminente; i genitori “adeguati” sanno percepire in modo realistico l’attuale stadio evolutivo del figlio e cogliere i comportamenti promotori o anticipatori di quello successivo.
- Funzione significante: capacità di dare al figlio un contenuto utilizzabile dall’apparato psichico alle percezioni e alle sensazioni infantili, giacché ancora prive di spessore psichico.
- Funzione triadica: si intende come la capacità dei genitori di sviluppare un’alleanza cooperativa, caratterizzata da sostegno reciproco, capacità di lasciare spazio all’altro o di entrare in una relazione empatica con il partner e con il bambino.
- Funzione differenziale: la genitorialità ha due modalità di espressione, la modalità materna (maternalità) e la modalità paterna (paternalità) che devono essere presenti entrambe per permettere una relazione sana. Nelle prime fasi evolutive, la funzione materna si ancora in una modalità relazionale duale mentre la funzione paterna ha da una parte il compito di proteggere la diade da interferenze esterne e dall’altra di aprirla e riportarla in un ambito triadico.
- Funzione transgenerazionale: immissione del figlio dentro a una storia, una narrazione familiare; concerne i rapporti tra generazioni e, quindi, le modalità con le quale i genitori si collocano nell’ambito delle rispettive storie familiari e nelle quali viene inserita la nascita del figlio in quel particolare momento della storia generazionale.
Nella nostra epoca non esiste più un unico modello di famiglia nucleare:
- Non coincidono più genitorialità e coniugalità;
- Non sono più sovrapponibili il nucleo familiare e la famiglia;
- Non vi è più omogeneità tra cultura familiare e cultura della comunità sociale di appartenenza;
- Non vi è consequenzialità tra genitorialità biologica e universo affettivo;
- Non vi è coincidenza tra ruoli familiari e ruoli di genere.
La genitorialità come processo di transizione della coppia coniugale implica innanzitutto l’assunzione della genitorialità, in cui non solo avviene un processo di riconoscimento del figlio come altro da sé, ma in cui ciascun genitore è chiamato nel tempo a legittimare se stesso nel ruolo, appunto, di genitore, e a riconoscere il proprio partner in quanto padre o madre dei propri figli; in secondo luogo implica un’alleanza genitoriale, che riguarda l’assunzione di una posizione gerarchica condivisa e l’impegno ad essere responsabili e a prendersi cura della nuova generazione.
Il parenting efficace implica un equilibrio tra i concetti di “cura”, “disciplina” e “rispetto”. Questi elementi possono essere espressi con vari stili:
- Autoritario, dove vi è una prevalenza di controllo e una carenza di supporto;
- Permissivo, dove vi è una prevalenza di supporto e una carenza di controllo;
- Autorevole, dove vi è un buon livello sia di controllo che di supporto;
- Noncurante, dove vi è sia scarso controllo che scarso supporto.
Prendersi cura
Prendersi cura significa rispondere ai bambini in modo accettante e supportivo.
La cura permette al bambino di sentirsi al sicuro, amato e protetto.
Questi bambini accettano le richieste dei genitori e sono facili da gestire.
La disciplina prevede che i genitori identifichino e si aspettino un comportamento responsabile da parte del bambino. Comprende la formulazione di limitazioni o regole, il monitoraggio del comportamento e un fermo rispetto delle regole, che devono essere chiare, ragionevoli e appropriate all’età. Le punizioni costituiscono il modo meno efficace per rinforzare le regole.
Rispetto significa fornire al bambino la libertà di pensiero e di espressione. È importante quanto le prime due in quanto senza di esso i genitori eserciterebbero un controllo psicologico sul figlio. Tale controllo può limitare la possibilità che il bambino sviluppi una sua identità, una buona autostima, e impedisce inoltre una adeguata comprensione ed espressione delle emozioni.
I genitori competenti, ossia positivi, sanno manifestare affetto, cura, protezione in modo continuo, senza condizionare i propri figli. Stimolano adeguatamente gli interessi e le attitudini del figlio e sono disponibili a instaurare con lui un dialogo, valorizzando i suoi pensieri, le sue emozioni e aiutandolo a sviluppare la sua autostima e le sue competenze personali e relazionali.
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