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Cronaca nera

In un solo giorno abbiamo ricevuto parecchie notizie terribili, legate a crimini altrettanto terribili.

E’ stato fermato il presunto killer della piccola Yara.

E’ stato arrestato il marito//padre killer di Cinisello Balsamo.

In entrambi i casi siamo stati travolti dalla brutalità delle situazioni, dalla mancanza, almeno apparente, di coscienza del male fatto, dalla apparente normalità degli assassini.

Non è la prima volta che ci troviamo dinanzi a quelli che ci appaiono come dei mostri: fiumi di parole sono stati spesi sulla mamma di Cogne, sui ragazzi di Perugia, su Alberto Stasi e la sua bicicletta, su Parolisi, sulla zia e la cugina assassine di Sara Scazzi, e via dicendo. Abbiamo sentito pareri illustri di psichiatri, di magistrati, di criminologi, di avvocati, di opinionisti.

E sempre più spesso si cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di affermare una ferma condanna del femminicidio.

Ma è sufficiente quello che stiamo facendo? O, meglio, stiamo andando nella giusta direzione per sconfiggere questa violenza dilagante che va a colpire i più deboli, come donne e bambini?

Io credo di no.

Credo che stiamo commettendo un errore clamoroso occupandoci fino alla nausea dei singoli casi che assurgono agli onori, per così dire, della cronaca, ma senza allargare lo sguardo a tutto il panorama delle relazioni umane, così come si sviluppano e si esprimono in questo momento storico.

Se ci fermiamo e ci guardiamo un po’ intorno, magari considerando con più attenzione anche le cose che scorrono sugli schermi dei nostri computer e dei nostri smartphone, possiamo vedere e sentire molte cose che possono farci comprendere qualcosa di più e che ci possono far accettare l’idea che non basta parlare per risolvere i problemi. La parola serve a comunicare, a spiegare, forse in parte a chiarire, ma da sola non ha il potere di cambiare la realtà.

Benedetto Croce diceva che “non c’è fatto che non sia idea, nè c’è idea che non sia fatto”. La realtà è fatta di eventi che si susseguono, e che sono supportati da idee, valori, principi. Buoni o cattivi, ma idee, valori e principi.

Forse l’uomo per sua natura non è buono… Homo homini lupus affermarono prima Plauto e poi Hobbes, il quale in sintesi sosteneva che  la natura umana è fondamentalmente egoistica, e a determinare le azioni dell’uomo sono soltanto l’istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione. Egli nega che l’uomo possa sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un amore naturale. Se gli uomini si legano tra loro in legami di amicizia o in rapporti sociali, regolando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto soltanto al timore reciproco, e quindi alla necessità di difendersi.

Nello stato di natura, cioè uno stato in cui non esista alcuna legge, ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Ognuno vede nel prossimo un nemico. Da ciò deriva che un tale stato si trovi in una perenne conflittualità interna, in un continuo bellum omnium contra omnes (“guerra di tutti contro tutti”), nel quale non esiste il torto o la ragione che solo la legge può determinare, ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa, anche sulla vita altrui.

Forse allora è questo il limite dell’efficacia della lotta contro il male che giochiamo qui e ora: se diamo per scontata un’innata capacità dell’uomo ad autodeterminarsi in senso positivo, assistiamo alla deriva morale che è sotto gli occhi di tutti. L’utopia della possibilità di vivere senza regole stabilite e senza la certezza di una pena è irrealizzabile. Garantire la possibilità a chiunque di difendersi è un diritto assoluto, ma delegare il singolo individuo ad autodeterminarsi è fallimentare per definizione. La sopravvivenza della specie è legata ad una difesa del più debole: se gli altri animali uccidono solo per mangiare o per difendersi, l’uomo ha dimostrato di saper uccidere anche per capriccio. E questo non è tollerabile.


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